lunedì 15 agosto 2016

«Salvate il fiume St Lawrence» Mohawk contro multinazionali

Social Forum. Proteste contro i piani del governo Trudeau

«Avete un grande fiume, la sera sedetevi alla sua riva ed ascoltate il fiume che dorme, che lo spirito va per lo spazio», con un sorriso Manari Ushigua Santi, sciamano e leader del popolo Sapara dell’Ecuador parla del Sumak Kawsay, del Buen vivir, come alternativa al modello economico dominante. «Prima sogniamo, e ci connettiamo con gli spiriti della terra, l’acqua, le stelle, le montagne, e questa connessione ci ha permesso di vedere la vita. Quando nel 2008 si decise di inserire il Buen Vivir nella costituzione abbiamo chiesto alla natura che ne pensasse, e lei ci ha detto bene, ma questo non riguarda me ma voi, dovete essere consapevoli di quel che fate sulla terra». Il fiume è il St Lawrence, attraversato dal Mercier Bridge che connette Montreal alla riserva Mohawk di Kahnawake. Tutta Montreal è su terra Mohawk.

C’è anche Kahnasake, scesa in piazza 25 anni fa in un confronto durissimo tra guerrieri mohawk e l’esercito canadese per bloccare un campo da golf ad Oka loro terra sacra. Lo scorso anno giovani mohawk hanno marciato per protestare contro un piano del comune di Montreal di sversamento di reflui urbani nel St Lawrence. Kahnasake ed i suoi leader sono oggi sul piede di guerra contro la Transcanada pipeline.

Il movimento «Idle no more» resiste all’ampliamento dello sfruttamento delle sabbie bituminose, le «tar sands» che stanno devastando l’Alberta. Eppure il governo Trudeau dei passi in avanti li aveva fatti riconoscendo i diritti dei popoli indigeni, ma il «business as usual» continua, quello delle grandi dighe, e quello del petrolio e del gas. In Canada ed altrove. Due anni fa a Montreal il Tribunale Permanente dei Popoli giudicò l’operato di multinazionali canadesi del settore minerario in America Latina. In questi giorni al Forum Sociale Mondiale, molto spazio è stato dato alle lotte ed alle iniziative che connettono comunità in resistenza e movimenti sociali di ogni parte del mondo. La campagna «stop corporate crimes» nasce da una serie di sessioni del Tribunale Permanente dei Popoli, istituzione creata da Lelio Basso, e che nel corso degli anni ha studiato, ascoltato testimonianze di comunità impattate, e giudicato l’operato dell’Unione Europea e delle sue imprese in America Latina. Temi che oggi riaffiorano con forza nelle mobilitazioni contro il Ttip, ed il Ceta, il Canada-Europe Trade Agreement.

Da allora i movimenti hanno lavorato «dal basso» per la redazione di un Trattato dei Popoli sulle imprese transnazionali, riprendendo il testimone delle proposte fatte nel lontano 1992 al Global Forum della conferenaz Unced di Rio de Janeiro, mentre «dentro» al Consiglio Onu sui diritti umani il governo dell’Ecuador lavora su un Trattato vincolante per le imprese. Prossimo appuntamento a Ginevra a ottobre, mentre il Tribunale si riunirà, per la prima volta in Africa, la settimana prossima in Swazilando per giudicare le imprese minerarie Vale e Jindal. Qua a Montreal i fili della resistenza si intrecciano, sarà forse l’«esprit du lieu», la presenza di un vibrante movimento studentesco, che due anni fa ha portato in piazza a Montreal un milione di persone, nella «Maple spring».
Di giovani se ne vedono tanti a questo Forum, inusuale, che cerca nuove strade e si interroga, approfondisce, cerca di capire. A migliaia hanno cercato di entrare nella sala dove Naomi Klein ha parlato di clima, di oleodotti, ed ha esortato alla mobilitazione, quella dei fatti non delle rivendicazioni. Giovani e anziani canadesi, (in molti commentano che in effetti questo forum è molto canadese, anzi molto «quebec», ma del resto il locale è o non è globale e viceversa?).

Giovani canadesi imbracciano tubi per protestare contro le pipeline, marciando ordinati sui marciapiedi del centro città, accompagnati da attivisti che protestano contro le malefatte della Chevron, In una tenda la rete Ong e movimenti brasiliani si interrogano sul futuro del paese, dopo la decisione del Senato di confermare l’impeachment di Dilma. Un’assemblea di convergenza verrà dedicata alla difesa della democrazia. Un’agorà globale forse sospesa tra la terra ed il cielo, pochi canadesi anglofoni, pochi rappresentanti dei popoli indigeni presenti. Eppure il ponte è lì dietro che unisce e che separa.

La storia del Canada riaffiora nelle insegne dei grandi magazzini della Compagnia della Baia di Hudson, la «Hudson Bay Company», propaggine imprenditoriale della colonizzazione del passato, dell’invasione delle terre indigene e dei ghiacci per la conquista del mercato delle pelli. Oggi è il petrolio, il gas, il grande business dell’acqua (HydroQuebec è un gigante del settore) lo sfruttamento dei ghiacciai, «Parliamo in nome della Madre Terra ma la gente non ci ascolta» chiosa il leader Dane – Lakota Tom Goldtooth, «ma non ci fermeremo».

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