sabato 21 febbraio 2015

Uno contro l'altro armati, a difesa di Kobane, a fianco dell'ISIS.

  
    Dopo il reportage su Vanity Fair, sul ragazzo dei centri sociali che parte e va a combattere accanto ai kurdi a Kobane, arriva ora la notizia di un altro ragazzo partito da Venezia per arruolarsi tra le fila dell'ISIS e presumibilmente ucciso da un cecchino, una donna kurda sempre a Kobane. A parte la barba alla mussulmana, una bandoliera "camouflage", e l'immancabile kalashnikov pare uno di noi. Magari ancora con i suoi vestiti magari anche "trendy" portati sul campo di battaglia. Un ragazzo "italiano" contro un'altro ragazzo "italiano". Lui è un "foreign fighter", in gergo (la necessità di coniare volta per volta termini per definire fattispecie non normate dal diritto internazionale classico emerse già nell'uso del termine "irregular combatant", in soldoni il pretesto per schiaffare a Guantanamo anche poveri cristi presi a caso dalla CIA) Chi mi conosce sa che una delle cose che più mi danno fastidio è il patriottismo, la necessità ricorrente di definirsi in termini di nazionalità, il dover specificare l'origine come stigma o segno di presunta superiorità o differenza. Qua però ci troviamo di fronte a due persone, che ad un certo punto chi da una parte chi dall'altra, mollano tutto e partono per combattere per una causa che forse fino a qualche mese prima pareva così distante dalla propria quotidianità. Uno l'eroe l'altro il nemico. E mi viene da pensare alla guerra civile spagnola, quando in tanti si arruolarono da una parte o dall'altra per andare a combattere contro o accanto ai falangisti. (sia chiaro io in quel caso sarei stato dalla parte degli anarchici). Resta un punto, solo il caso ha voluto che i due non si sparassero l'uno contro l'altro. E questo mi fa venire un leggero brivido lungo la schiena.Come mi fa venire un brivido sulla schiena leggere il decreto missioni ed antiterrorismo, nella parte che autorizza i servizi segreti a sottoporre a "colloqui" presunti "foreign fighters" trattenuti nelle carceri per avere informazioni sull'ISIS. Zone d'ombra, che vanno chiarite, visto il ritardo colpevole con il quale nel nostro paese si è provveduto ad introdurre il reato di tortura. Lo stesso decreto che riguarda in gran parte i "foreign fighters", li definisce come coloro che direttamente o indirettamente sostengono o combattono a fianco di organizzazioni definite terroristiche. Un cavillo che accomunerebbe l'ISIS al PKK, per intenderci, nonostante di recente il Senato italiano avesse approvato una risoluzione per chiedere la rimozione del PKK dalla lista di organizzazioi definite terroristiche. Ci sono altri punti preoccupanti in quel decreto, oltre alle missioni, ad esempio riguardo all'uso di strumenti informatici o telematici. L'uso del termine terrorista o "foreign fighter" rischia cioè di innescare un ricorso allo stato di eccezione in aspetti assai importanti che vanno dal diritto alla privacy, alla libertà di espressione, alla tutela da trattamenti disumani e degradanti. Se così fosse avranno vinto "loro".
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