mercoledì 14 settembre 2016

Le faglie aperte dell'America Latina

mio contributo alla pubblicazione di Terra Nuova:"L'America Latina del 2016: fratture, continuità, prospettive dalla voce di protagonisti dei movimenti sociali",
http://www.terranuova.org/pubblicazioni/l-america-latina-del-2016-fratture-continuita-prospettive-dalla-voce-di-protagonisti-dei-movimenti-sociali

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E’ evidente che siamo di fronte alla fine più o meno conclamata di un ciclo in America Latina, quello che si definisce il “relato progresista”  ,  o forse di fronte ad una sua possibile trasformazione, ed in alcuni paesi di una certa involuzione. In altri come la Colombia, di una fase storica che potrebbe aprirsi con i processi di pace, ma difficilmente  potrà intaccare le questioni centrali del modello di sviluppo e della democrazia reale. In altri come nel caso del Perù, il pericolo scampato dell’elezione di Keiko Fujimori non autorizza  grandi entusiasmi vista la debolezza dei movimenti e la crescente pressione sulle risorse naturali e la terra oltre che il persistere di un alto livello di diseguaglianza.

Certo nei casi più recenti di Brasile e Argentina, si tratta di un’involuzione più o meno reversibile, in parte alimentata anche dalle contraddizioni dei partiti prima al governo, dall’incapacità di uscire dalla morsa del nepotismo o del malaffare (si veda il caso del PT) il crescente distacco dalle classi medie e dal popolo. In un incontro - quasi due anni fa - con il leader del MST brasiliano Joao Stedile mi impressionò proprio questo elemento, il fatto che in Brasile la stragrande maggioranza delle persone di classe urbana si sentisse del tutto al margine della vita politica e sociale del paese. 

Come dice giustamente l’introduzione del dossier  , non è possibile “fare di tutta l’erba un fascio” ed invece tenere bene a mente le specificità e contingenze paese per paese, ma indubbiamente il tema della democrazia e del deterioramento del rapporto tra governati e governanti continua ad essere il punto centrale per tentare di fermare l’avanzata delle “destre” (semmai sia possibile usare ancora questo termine), e fare tesoro e “costruire” sui passi in avanti compiuti dalla stragrande maggioranza dei paesi con governi progressisti o di sinistra.

Per questo è importante adottare una traccia di lettura e di analisi diversa da quelle tradizionali di destra e sinistra, semmai invece parlare di contrapposizione tra “alto” e basso” come ad esempio proposto da Gustavo Esteva, e Raul Zibechi per citarne due. Traccia di lettura che servirebbe ad interpretare la  capacità di movimenti sociali  ed indigeni di operare una critica radicale ai processi di accumulazione di potere politico e economico nelle mani di élites vecchie e nuove, reazionarie, oligarchiche o supposte rivoluzionarie. 

Bene, ogni esperienza politica “ufficiale” in America Latina, nonostante la retorica di quelle più ispirate ad un impianto culturale di sinistra e progressista, non ha scalfito, se non in minima parte, quelle strutture di potere delle élite tradizionali. Se lo ha fatto ha visto sostituirsi a quelle precedenti nuove élite, di burocrati ed imprenditori che hanno perpetuato le logiche di dominio e potere. Lo strumento principale, che è anche in pratica causa della crisi stessa, e delle sue radici economico-commerciali, è la fase cosiddetta “estrattivista” del capitalismo.

Anche i governi progressisti e di sinistra in America Latina non sono usciti da quella morsa anzi hanno sposato in pieno il modello estrattivista come conseguenza del sostegno a loro dato dalle nuove e vecchie élite economiche ed imprenditoriali Eppoi per la scarsa sensibilità alle tematiche ambientali, e comunque per  la loro legittima preoccupazione di ripagare un debito sociale e storico a queste generazioni, dimenticando però che così facendo si stanno rendendo responsabili di un debito ecologico per ora e per le generazioni future.

Se da una parte occorrerà senz’altro fare fronte comune contro quelle che secondo una visione ormai forse inadeguata si continuano a definire le  “destre”, e contro gli effetti negativi dei mercati e della finanza globale,   allo stesso tempo  si dovrà lavorare anche sugli elementi portanti di una nuova fase, centrata appunto su  “Buen vivir” e democrazia radicale.

Le due questioni, quella del paradigma di sviluppo e dell’estrattivismo, del “buen vivir” e della qualità della vita, vanno di pari passo con quelli relative alla qualità della democrazia, e la restrizione degli spazi di agibilità democratica e di partecipazione di quegli stessi soggetti politici e sociali che avevano sostenuto e favorito l’ascesa al potere di quei governi. Interessante  a tal riguardo il caso della Bolivia, che però è emblematico della sindrome di criminalizzazione dei movimenti sociali, delle ONG e di quelle comunità che resistono e si oppongono all’estrazione di risorse naturali nelle loro terre.

Certo è che accanto alla sinistra “oficialista” del XXI secolo si è andata affermando, come dimostrano  anche le mobilitazioni in Ecuador,  una sinistra di base, popolare, ecologista, indigena e contadina che invece di essere considerata come “linfa vitale”   viene dalla stessa sinistra “oficialista” bollata come golpista o al soldo della destra e spesso anche trattata con linguaggi e modalità neocoloniali.  Questi movimenti escono in parte indeboliti in parte rinvigoriti  da questa fase storica di governo delle sinistre. Indeboliti quando vengono cooptati, o soggetti a repressione anche violenta. Il caso di Berta Caceres in Honduras è stato solo la punta dell’iceberg dell’assalto sistematico ai difensori della terra, e dei diritti umani che in America Latina ha causato la morte di una miriade di attivisti, rappresentanti di popoli indigeni, leader rurali.

Allora oltre al tema della sopravvivenza degna, attraverso la garanzia del soddisfacimento dei bisogni primari, si deve affrontare il tema della sopravvivenza fisica di attivisti e leader di movimenti che sono l’interlocutore e partner privilegiato per un ulteriore “approfondimento” dei processi di liberazione.

Una liberazione che non può prescindere dal soddisfacimento dei bisogni primari, o  meglio il rispetto dei diritti fondamentali, politici, economici, ambientali e sociali. Emerge chiaramente da tutte le interviste come il tema del degrado dei diritti sociali fondamentali, dalla scuola alla salute, al cibo, alla terra all’acqua siano elementi comuni in quasi tutti i paesi. A fronte di questo debito sociale ripagato solo in parte si accumula debito economico e ecologico. Non a caso la maggior parte dei paesi illustrati nelle interviste soffre un processo di liberalizzazione spinto, al fine di aprire quei mercati agli investimenti internazionali, sempre più agevolati da accordi di libero scambio asimmetrici.

Insomma un groviglio di cause e concause che andranno debitamente “spacchettate” per comprendere meglio come affrontarle una ad una ed in maniera connessa.

Alto e basso, debito ecologico e contrasto al capitalismo estrattivista, sono le due asimmetrie attraverso le quali tentare di proporre una strategia altra ai partner e comunità, soggetti politici e sociali con i quali si lavora o si lavorerà in America Latina. Le due asimmetrie possono essere poi reinterpretate in proposte e concetti “positivi”, ossia “buen vivir” e democrazia reale ai quali si può poi aggiungere un concetto “collante” quello dei commons, o beni comuni.

Di buen vivir si tratta quando si prova a evidenziare le contraddizioni di un modello capitalista estrattivo, ed orientato all’esportazione, controproponendo un approccio che metta al centro, al di là della facile ed opportunistica retorica di alcuni (si vedano ad esempio le costituzioni di Ecuador e Bolivia) i diritti della madre terra e delle comunità da una parte e il rafforzamento delle capacità di autogoverno ed autoproduzione, di tipo mutualista e su piccola scala. Ipotesi che però non possono prescindere dal riconoscimento dei diritti fondamentali e del diritto alla terra ed ai beni comuni essenziali ed all’autodeterminazione.

Di democrazia reale si tratta quando si riconosce centralità ai processi di emancipazione e restituzione di dignità operati in varia misura dai paesi a governo progressista o di “sinistra”, si riafferma il carattere irreversibile di tali conquiste. Scommettendo poi sull’ulteriore rafforzamento o la rivitalizzazione di quei soggetti politici e sociali, in primis movimenti contadini, indigeni e urbani.  Le interviste ad esempio offrono un quadro assai variegato per quanto riguarda la “agency” dei movimenti sociali, alcuni silenti verso i governi in attesa di qualche concessione, altri cooptati del tutto o in parte, altri in aperta rotta di collisione. Se però si riconosce che la democrazia “reale” e radicale dovrà essere una delle chiavi di volta dell’azione futura in America Latina, allora si dovrà trovare le modalità giuste per  sostenere tali soggetti,  creare piattaforme, metterli in connessione, rafforzare le loro capacità, oltre ad identificare modalità per proteggerli dal ritorno di governi reazionari , dalla conservazione e dalla repressione violenta.

Ci si dovrebbe pertanto  interrogare se oltre il post-liberismo ed il  neo-sviluppismo,  esista a un’alternativa fondata su democrazia reale e radicale,   decolonizzazione delle strutture di potere,  riconoscimento dei beni comuni,  autonomia dei movimenti sociali, autogoverno e riconoscimento del debito ecologico e della giustizia ambientale. E per  un cambio di passo anche nelle pratiche e strategie di cooperazione e solidarietà sarà importante definire quali  possano essere gli elementi chiave per un  approfondimento del processo di liberazione e emancipazione di quei popoli dopo una fase più o meno lunga di rottura con l’ordine precedente.

Il caso Ecuador, una rivoluzione cittadina senza i cittadini?

In Ecuador persiste, nonostante la retorica del cambio di matrice produttiva, una forte enfasi sulle risorse petrolifere e minerarie, e la costruzione di infrastrutture ad esse dedicate. Questo ha comportato una forte dipendenza dell’economia del paese dal prezzo del petrolio come anche nel caso del Venezuela e della Bolivia) al punto che oggi con il calare del prezzo al barile, è diminuita sensibilmente il bilancio dello stato e sono state attuate misure di taglio della spesa pubblica e privatizzazioni. E’ importante anche notare che in Ecuador in particolare si assiste ad una strategia di “normalizzazione” culturale e dei settori accademici, spesso vicini ai movimenti sociali quali la Universidad Andina o la FLACSO, nel tentativo di imporre una cultura accademica conforme al progetto di Alianza Pais Non a caso l’Ecuador si propone come società del talento umano e della conoscenza, un progetto mutuato da altrove, dall’esempio del Qatar, o della zona economica libera di Incheon in Corea del Sud. Simbolo di questa “vision” che poi in effetti si traduce in mercantilizzazione della conoscenza e della ricerca al fine di aumentare le opportunità di sfruttamento delle risorse naturali (si veda il caso dell’ingegneria genetica) è la città universitaria di Yachay. Per quanto riguarda i movimenti rurali e contadini, questi sono assai debilitati anche in seguito alle campagne governative volte a chiudere i canali di sostegno economico dall'esterno, mentre le leggi sulla riforma agraria di fatto tendono ad avvantaggiare i grandi proprietari e produttori di commodities per l'esportazione. Anche la mobilitazione contro il trattato di libero scambio tra UE ed Ecuador sembra segnare il passo.

 A livello sociale di base, si assiste al tentativo di forme di autorganizzazione, di sviluppo di produzione Agricola su piccolo scala e di qualità, ad un rinnovato protagonismo cittadino, come nel caso della “minga” collettiva che si è sviluppata in sostegno alle vittime del recente terremoto. Un segnale importante della capacità e volontà del popolo ecuadoriano di attivarsi, dal basso, con ingegno e creatività, senza dipendere dalla macchina degli aiuti governativi. Un elemento importante, tanto quanto il ruolo di movimenti sociali ed indigeni, almeno quelli non cooptati dal progetto officialista. Insomma, della “revolucion ciudadana”, sembra rimasto poco di revolucion, ma molto spirito e senso civico e di mobilitazione, che si nota anche nel fiorire di movimenti urbani, a Quito ed altrove, di resistenza e proposta (movimenti GLBQT, la vertenza per il mercato ortofrutticolo di San Roque a Quito etc). Eppoi il fatto che a Quito si terrà la conferenza ONU Habitat offre un’opportunità per studiare meglio le dinamiche urbane, le reti sociali che si stanno mettendo in moto, e che potrebbero essere ancor più connesse a quelle di base, contadine, e non solo. Oggi Correa perde consenso, lo dimostrano le sconfitte alle amministrative di Quito e Cuenca, oltre quella scontata a Guayaquil, ma alla fine i sondaggi lo danno sempre in testa, in assenza di un progetto alternativo, se non quello delle elite conservatrici. I tentativi di riorganizzare un fronte di sinistra procedono, anche con un maggior protagonismo della CONAIE e di Pachakutik, si sono svolte mobilitazioni di livello in tutto il paese, spesso però infiltrate o sfruttate opportunisticamente dalle “destre”.

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