giovedì 10 ottobre 2013

Il pantano libico e le missioni militari dell'Italia


Il rapimento del primo ministro libico Zeidan avvenuto oggi a Tripoli è solo la punta dell'iceberg di una conflitto e di un processo di completa destabilizzazione in corso in Libia. Dall'intervento militare internazionale ad oggi il paese è caduto in mano di diversi gruppi armati, milizie paramilitari, cellule integraliste e Qaediste. Il governo centrale nei fatti controlla solo - e neanche più a questo punto le due città di Tripoli e Bengasi. Leggendo in filigrana gli ultimi eventi, l'arrivo di 200 marines a Sigonella, la recente operazione dei Navy Seals conclusasi con la cattura di un sospetto terrorista qaedista, ora agli arresti a bordo di una nave militare USA (insomma un ritorno al passato, una rendition a tutti gli effetti), il rapimento di Zeidan, e le notizie che giungono di conflitti intertribali c'è da essere molto preoccupati. L'unica fonte di entrate per il governo filofrancese di Zeidane è il petrolio, e la produzione del petrolio ora è stata ridotta proprio per l'instabilità sui territori. Nel frattempo la frontiera sud resta terra di nessuno. Bande armate, cellule qaediste, trafficanti di esseri umani e di eroina. Chi ci è stato ci dice che la caccia all'uomo contro i migranti oggi è giunta a livelli tragici e che di fatto i campi di detenzione sono gestiti da esponenti di tribù in armi. In questo contesto, la Libia si avvia a diventare quello che gli esperti del settore chiamano "failed state". stato fallito, prima ancora di essere "ricostruito". La comunità internazionale, il G8, l'Unione Europea continuano a guardare alla Libia come frontiera esterna da "blindare", non a caso sia il piano del G8 che le nuove operazioni della UE, EUBAM e Sea Horse principalmente sono indirizzate al controllo e "securitizzazione" delle frontiere. E l'Italia? Se con il governo Berlusconi il leitmotiv era quello del business in cambio di "compensazioni" per supposti danni di guerra, oggi il leitmotiv è quello della sicurezza o supposta tale. Così il 3 ottobre scorso è stato firmato a Tripoli un memorandum d'intesa per una missione militare italiana in Libia, mentre l'Italia oltre che a partecipare ad EUBAM (che verrà finanziata nell'attuale decreto missioni ora al vaglio del Parlamento) è capofila del piano Libia del G8,  incarico preso su richiesta esplicita di Barack Obama all'ultimo G8. Obiettivi del piano, quelli di addestrare quasi 20mila soldati e poliziotti libici, attivare piani pilota per il disarmo delle milizie (come e chi lo farà non è dato sapere, ma è un dettaglio chiave: il rischio di cacciarsi in un nuovo Vietnam alle porte di casa è evidente), contribuire alla ricostruzione della "governance" nel paese (sic!), attivare piani per il controllo della frontiera sud. Insomma il rischio evidente di andarsi a cacciare in un pantano senza prospettive. Noi di Sinistra Ecologia e Libertà seguiremo gli sviluppi della situazione in Libia, concentrando la nostra attenzione dapprima sul tema della securitizzazione delle frontiere, e della gestione dei flussi migratori, per chiedere il rispetto dei diritti umani, della dignità delle persone, e l'apertura di canali umanitari. Anche per questo stiamo incontrando ed incontreremo esponenti della società civile e delle associazioni di eritrei per la democrazia in Italia. E poi chiederemo conto di tutti gli accordi firmati dal nostro paese sulla Libia, per avere un quadro di insieme sia per quanto riguarda l'aspetto bilaterale, che quello della UE e del G8. Esiste un evidente deficit di democrazia, e l'urgenza di un dibattito parlamentare su tutta la vicenda libica. Ed anche un sottotraccia altrettanto preoccupante che vede il ministero della Difesa operare in maniera pressocché autonoma nelle direttrici di politica estera. Oltre all'accordo per la missione militare italiana in Libia c'è da ricordare l'accordo di cooperazione nel settore della difesa firmato ad agosto con l'Ucraina, che prevede il supporto logistico e non solo di un contingente di truppe ucraine che andranno ad affiancare il contingente italiano ad Herat in Afghanistan, con buona pace di chi continua a dirci che dopo il 2014 l'Italia ridurrà la sua presenza militare  nel paese. 

Nessun commento: