mercoledì 8 luglio 2009

Il clima pesante del G8

Tra qualche ora si aprirà per l’ennesima volta la scena mediatica del
vertice del G8. Un appuntamento che marca dal 1975, quando si riunì
per la prima volta a Rambouillet il vertice dei G7, le scadenze-chiave
del complesso processo della governance mondiale. In queste ore non
possono non tornare alla mente le giornate di 8 anni fa, a Genova, quando si
consumò la più grave sospensione dei diritti e della democrazia mai
sofferta nel nostro paese nel secondo dopoguerra. Violazioni
gravissime dei diritti umani sulle quali una magistratura coraggiosa
ha tentato di far luce, e delle cui responsabilità politiche ancora
nulla si è potuto accertare. Chi oggi è presidente della Camera, era
in quei giorni nele sale operative delle forze di polizia, chi era a
capo della Polizia è oggi superzar dei servizi segreti. Il premier è
lo stesso, allora preoccupato delle mutande esposte dai balconi di
Genova, o degli alberi di limone da porre nei punti strategici, oggi
da una valanga di foto osée publícate sulla stampa estera. Forse
questo G8 rappresenterà la nemesi di questo organismo informale ormai
non solo delegittimato, ma anche profondamente incapace di prevenire e
gestire le crisi globali. Non a caso basta leggere le bozze di
dichiarazione finale sul clima e ci si rende conto che al di là delle
buone intenzioni nulla di nuovo verrà deciso, Anzi, forse qualcosa
verrà riconfermato, ovvero la mancanza di volontà politica di
procedere a tagli drastici delle emissioni, ed a disintossicare le
economie produttive dalla dipendenza dal petrolio e dal mito della
crescita illimitata. Nella bozza di dichiarazione finale infatti si
parla di energia nucleare, e di sostenere l’attivazione di una ventina
di progetti di Carbon Sequestration and Storage, (CSS) ovvero di
immagazzinamento sottoterra di carbonio. Una tecnologia ancora
rudimentale che, secondo gli esperti, avrà bisogno di almeno una
decina d’anni prima di essere credibile. Del resto i G8 non potevano
e non possono prendere alti impegni sul clima, in attesa
dell’approvazione del “Waxman bill” al Senato americano, il disegno di
legge sul clima che tante speranze aveva suscitato e che oggi si
rivela essere molto meno ambizioso di quanto si pensasse. Anche il
processo verso la conferenza di Copenhagen è in parte ostaggio delle
decisioni dell’Amministrazione Obama, ma vale la pena di sottolineare
come nel corso dell’ultimo incontro preparatorio di Bonn, a giugno,
Unione Europea, Giappone e Russia (ovvero paesi che rappresentano la
maggioranza dei firmatari del Protocollo di Kyoto e del G8) non
avessero esitato a dichiarare il protocollo di Kyoto morto e defunto
ed a chiedere un nuovo strumento che potesse essere di gradimento
anche agli Stati Uniti. Così facendo questi paesi hanno provocato la
controffensiva dei paesi del G77 , che - Bolivia in testa - hanno
invocato il riconoscimento dell’obbligo di riconoscere il debito
storico dei paesi industrializzati e procedere di conseguenza a tagli
drastici delle proprie emissioni. Tutto in sospeso quindi sulla crisi
climatica, con il rischio di sviluppi che potrebbero mettere a repentaglio
l’approccio multilaterale, seppur monco e criticabile del protocollo di Kyoto, fin
troppo basato su soluzioni di mercato quali il mercato di permessi di
emissione. Il convergere delle varie crisi, economica, finanziaria, alimentare,
climatica ed energetica avevano fatto ben sperare in una netta inversione di rotta, e la costruzione di soluzioni alternative a quelle ispirate dal modello dominante di sviluppo. Purtroppo anche stavolta è la realpolitik ad avere la meglio.

www.sinistraeliberta.it

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