mercoledì 8 luglio 2009

Giustizia climatica, diritti umani e dei popoli indigeni. Il cammino verso Copenhagen

CAMBIAMENTI CLIMATICI ED IMPATTO SUI DIRITTI UMANI

LE ANALISI E LE PROPOSTE DELLA COMUNITA' INTERNAZIONALE E DEI MOVIMENTI INDIGENI


Francesco Martone, giugno 2009 (*)



“Se sparisce l’acqua se ne vanno anche le nostre divinità. I nostri anziani stanno notando che qualcosa di grave sta succedendo. Alcune aree sono inondate mentre prima non lo erano. Il sole brilla normalmente per 4-6 giorni, non piove per un mese e questa è una foresta pluviale”

Con le sue parole Juan Carlos Jintiach, indigeno Shuar dell’Amazzonia ecuadoriana sintetizza il dramma vissuto da milioni di indigeni in tutto il mondo. É il dramma della sopravvivenza dei pastori di renna Saami (Lapponi) di Norvegia, Svezia o Finlandia, o dei i coltivatori di riso Khmer Krom nel Delta del Mekong che dipendono da un ambiente sano per trarre le loro fonti di sostentamento. Di quelle comunità indigene che spesso vivono in ecosistemi fragili quali le terre aride in Africa, le piccole isole del Pacifico, i ghiacci artici.

Anche l’impatto sul diritto al cibo in particolare è notevole. Il rapporto Stern sul Clima commissionato dal Tesoro inglese nel 2005, valuta gli impatti economici dei mutamenti climatici, ed i costi per le misure di cosiddetta “mitigazione”, stimando che a seguito dei cambiamenti climatici, la produzione totale di mais nelle regioni del Centroamerica e delle Ande potrebbe ridursi del 15%.

Secondo la Banca Mondiale, il 90% del 1,2 miliardi di persone che vivono in estrema povertà in tutto il mondo dipendono dalle risorse forestali per la loro sopravvivenza. In Indonesia, ad esempio, circa 6 milioni di persone vivono in foreste statali, mentre nella Repubblica Democratica del Congo 40 milioni di persone traggono cibo, medicine, energia e reddito dalle foreste. Foreste abitate sia da popoli indigeni che da comunità locali, e spesso sottoposte a rapidi processi di degrado, distruzione, colonizzazione, trasformazione in piantagioni monocolturali per produzione di biofuel. Terre e risorse scarse sulle quali rischia di abbattersi un conflitto tra impoveriti, popoli indigeni, piccoli coltivatori, senza terra da una parte, ed elite commerciali, politiche, imprese multinazionali dall'altra.

É un dramma epocale, scatenato quindi non solo dagli effetti devastanti dei mutamenti climatici, ma anche dalla mancata volontà politica di sganciare il modello produttivo attuale dalla dipendenza da combustibili fossili. E la corsa all’ultimo giacimento di petrolio, di gas naturale, o di uranio sta creando le premesse per un attacco senza precedenti alle terre indigene, giacché in quelle zone si trovano le riserve ancora non sfruttate di combustibili fossili.




CREDITORI ECOLOGICI E GUARDIANI DELLE FORESTE

Milioni di indigeni sono portatori di un credito ecologico accumulato attraverso i processi di spoliazione delle risorse energetiche, e le conseguenze dell’utilizzo delle stesse sugli equilibri climatici globali. Un credito ecologico che potrebbe ulteriormente crescere qualora le soluzioni proposte quali i biocombustibili o il mercato di permessi di emissione o “carbon trading”, vengano usate a pretesto per continuare ad eludere l’imperativo categorico di una netta inversione di rotta nel modello economico ed energetico.

I popoli indigeni chiedono pertanto alla comunità internazionale di essere considerati non vittime ma creditori, soggetti vulnerabili che comunque possono contribuire a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici con la loro conoscenza tradizionale, le loro pratiche ancestrali. Sono in realtà depositari di un credito nei confronti del resto dell'umanità, accumulato nel corso della storia , e che spesso sfugge a facili quantificazioni di carattere economico. Il degrado e la distruzione degli equilibri ecologici degli ecosistema maggiormente impattati dai mutamenti climatici si traduce in infatti in un’alterazione del rapporto “simbiotico” tra popoli indigeni e gli ecosistemi dai quali essi da tempo immemorabile traggono le proprie fonti di sostentamento, nonché alimentano la propria cosmología.

Oltre alle strategie di resistenza sul terreno, i movimenti indigeni di tutto il mondo, coalizzati in reti transnazionali, nel Caucus dei Popoli Indigeni sui Mutamenti Climatici e nel Forum Permanente delle Nazioni Unite sui Popoli Indigeni (UNPFII) seguono in negoziati sul clima, ed elaborano una propria “vision” e piattaforma politica sul tema centrata sui loro diritti fondamentali.

Ad esempio l’Indian Treaty Council, la Confederazione delle Nazioni autoctone degli Stati Uniti, in un suo documento presentato al Consiglio ONU sui diritti umani, svolge un’analisi politica delle cause dei mutamenti climatici, attribuendone la principale responsabilità al predominio di un modello di sviluppo basato sul progresso industriale e sul sistema di mercato, come attraverso la globalizzazione ed il libero scambio che “promuovono la privatizzazione, la mercificazione e l’appropriazione di risorse naturali quali terra, acqua, foreste, e minerali.” Un modello imposto anche contro la volontà dei popoli indigeni, ed in molti casi nonostante la loro resistenza.

Ciononostante, la relazione tra diritti umani, e più in particolare dei diritti dei popoli indigeni, e cambiamenti climatici è solo di recente entrata nel dibattito che accompagna il processo negoziale nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che dovrà disegnare l’architettura di governo delle politiche climatiche dal 2012 in poi, alla scadenza del protocollo di Kyoto.

Un passo in avanti nell’elaborazione e la proposta politica relativa alla tutela dei diritti umani e dei popoli indigeni in relazione ai cambiamenti climatici è venuta proprio dal sistema delle Nazioni Unite.

L’ONU, IL CLIMA ED I DIRITTI UMANI E DEI POPOLI INDIGENI

Già nella Conferenza delle Parti della UNFCCC svoltasi a Bali nel 2007, il Consiglio ONU per i Diritti Umani (UN Human Rights Council) pose il tema all’ordine del giorno, esortando le parti ed i delegati ad introdurre nelle proprie elaborazioni e proposte un approccio basato sui diritti. Nel suo intervento su “Climate change and Human Rights” la vice Alto Commissario per i Diritti Umani, Kyung-wha Kang affermò che “Certamente i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia diretta ad una serie di diritti umani internazionalmente riconosciuti, tra cui il diritto alla vita, al cibo, alla casa o all’acqua. Anche i diritti umani cosiddetti “procedurali” tra cui il diritto all’accesso all’informazione, alla giustizia o alla partecipazione nei processi negoziali relativi ai mutamenti climatici iniziano ad assumere una rilevanza inedita soprattutto per coloro che soffrono gli effetti dei mutamenti climatici“

Nel 2008 l’International Council on Human Rights Policy pubblicò un dossier dal titolo “Climate Change and Human Rights: a rough guide” nel quale vengono affrontati gli aspetti pratici e metodologici di un approccio ai cambiamenti climatici basato sui diritti, includendo in questi le questioni relative alle attività di adattamento, mitigazione e tutela delle foreste, note con l’acronimo REDD (Reduced Emissions from Deforestation and Degradation)

Nel suo preambolo alla pubblicazione, l’ex Segretario generale della Commissione ONU sui Diritti Umani, Mary Robinson, sottolinea come “La legislazione sui diritti umani è rilevante allo scopo , visto che i cambiamenti climatici provocano violazioni dei diritti umani. Ma una visione basata sui diritti umani può anche essere utile nel affrontare e gestire i cambiamenti climatici”. E poi aggiunge: “la portata di questi problema e delle azioni necessarie per una loro soluzione, vanno ben oltre le sfide che l’umanità ha dovuto finora affrontare. Tuttavia nei sedici anni intercorsi da quando è stata firmata la Convenzione Quadro sui Mutamenti Climatici, i negoziati internazionali sono proceduti a rilento. Abbiamo collettivamente mancato di comprendere le dimensioni e l’urgenza del problema. I mutamenti climatici sono prova dell’esistenza di innumerevoli lacune nella nostra architettura istituzionale e nei meccanismi per la promozione e la tutela dei diritti umani”.

Il rapporto fa anche riferimento alle violazioni dei diritti dei popoli indigeni derivanti da attività di sfruttamento delle foreste: “esiste una lunga storia di abusi sui diritti dei popoli indigeni, connessi allo sfruttamento delle foreste, da parte di governi che affermano i propri diritti su terre senza titolo formale, ed anche da parte di grandi compagnie del legname che a volte usano milizie private. Spesso governi e industriali del legname lavorano assieme (…) Le politiche di tutela delle foreste hanno in alcuni casi limitato i diritti dei popoli indigeni senza però essere accompagnate da eguali limitazioni alle attività di estrazione commerciale del legname”.


FORESTE E CLIMA: DIRITTI INDIGENI CONTRO MERCATO

In realtà il tema dell’intreccio tra diritti dei popoli indigeni e cambiamenti climatici è oggi al centro dell’attenzione in particolare per ciò che concerne le politiche di tutela delle foreste tropicali come modalità per riassorbire le emissioni di gas serra e trattenere carbonio. La questione REDD è entrata a far parte del negoziato sul clima a Bali con la proposta di una coalizione di paesi, la Coalition of Rainforest Nations, con a capo Papua New Guinea e Costa Rica. Attraverso l’inserimento del tema “foreste” nel negoziato climatico quei paesi tentano di riavviare la discussione su meccanismi di tutela e promozione dello sviluppo sostenibile di quegli ecosistemi, ed in cambio ottenere una contropartita economica. Questa può essere sia sotto forma di fondi pubblici, che di compensi derivanti dall’immissione di crediti di carbonio nei mercati globali.

In un certo senso, la Convenzione sui Mutamenti climatici viene usata come “cavallo di Troia” per riavviare un negoziato sulle foreste, che dall’impasse sofferta a Rio de Janeiro nel 1992, ha sempre stentato a prender corpo. Il rischio di questi meccanismi REDD è che da una parte spingerebbero i governi beneficiari ad aumentare il controllo sulle proprie foreste, spesso su terreni che sono di proprietà ancestrale dei popoli indigeni, e mai demarcati, “vendendo” come sostenibili attività tradizionalmente distruttive quali l’estrazione di legname o lo sviluppo di piantagioni monocolturali sotto la formula PES (“Payment for Environmental Services “ ovvero Pagamento di Servizi Ambientali). E dall’altra a identificare tra le cause di deforestazione le pratiche tradizionali di gestione della terra seguite da tempo immemorabile dai popoli indigeni, che verrebbero così privati delle loro forme tradizionali di sussistenza e trasformati in attori economici da immettere nei mercati globali di carbonio.

Non stupisce quindi che una delle preoccupazioni principali dei movimenti indigeni che seguono i negoziati sul clima sia quella di assicurare la tutela ed il riconoscimento delle conoscenze tradizionali, e con esse il ruolo storico dei popoli indigeni in quanto custodi dell’ambiente. E dall’altra assicurarsi che anzitutto vengano tutelati e messi in pratica i loro diritti di sovranità sulle proprie terre ed all’autodeterminazione e che qualsiasi iniziativa che dovesse essere prevista nelle loro terre venga sottoposta al loro consenso previo, libero ed informato.


VERSO UNA PIATTAFORMA SUI DIRITTI ED IL CLIMA

La necessità di riconoscere i popoli indigeni come portatori di diritti (right-holders) piuttosto che come semplici parti in causa (stakeholders) è stata affermata con nettezza nel 2008 dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) che nella sua risoluzione 2429 sui cambiamenti climatici nelle Americhe esorta le agenzie di sviluppo e dei diritti umani delle Americhe a sostenere gli stati nel riconoscere gli effetti avversi dei cambiamenti climatici sulle popolazioni maggiormente vulnerabili e rafforzare la capacità degli Stati di adattarsi in maniera efficiente alle mutate condizioni climatiche. Inoltre impegna i paesi dell’OSA a “esprimere interesse nei progressi fatti in altre sfere, negli sforzi globali per affrontare i cambiamenti climatici, con particolare riguardo alle correlazioni possibili tra diritti umani e clima”

Rispondendo ad appelli e sollecitazioni proveniente di organizzazioni nongovernative, rappresentanti dei popoli indigeni, e studiosi quali Wolfgang Sachs del prestigioso Wuppertal Institute (che già nel 2007 pubblicò un saggio sulla relazione tra cambiamenti climatici e diritti umani ) il Consiglio ONU sui diritti umani (UNHRC) ha poi discusso nel marzo del 2009 un rapporto , che nelle intenzioni del UNHRC, dovrebbe contribuire a definire un approccio fondato sui diritti per il dopo-Kyoto.

Questo documento è il frutto di un processo iniziato nel marzo 2008 quando venne adottata una risoluzione che sottolineava i possibili effetti dei cambiamenti climatici sui diritti umani delle popolazioni che vivono nei paesi insulari cosiddetti “Small Island States” nelle zone costiere e regioni del mondo soggette a siccità ed inondazioni, con conseguente minaccia alle condizioni di vita e di sostentamento della maggior parte delle popolazioni vulnerabili.

Maldive, Comore, Tuvalu, Micronesia ed altri paesi membri proposero che venisse prodotto uno “studio analitico dettagliato delle relazioni tra cambiamenti climatici e diritti umani”. Il Consiglio poi chiese all’Ufficio dell’Alto Commissario ONU per i diritti umani (OHCHR) di svolgere “uno Studio dettagliato sulle relazioni tra cambiamenti climatici e diritti umani da sottoporre al Consiglio prima della sua decima sessione, e messo poi a disposizione della Conferenza delle Parti dell’UNFCCC”.

30 paesi membri, e 14 agenzie ONU hanno inviato il loro contributo, insieme a organizzazioni regionali, istituzioni nazionali per i diritti umani e 18 ONG. Nell’ottobre 2008 poi si tenne una consultazione alla quale parteciparono 150 delegati . Il documento , a differenza di quanto prospettato inizialmente, studia a fondo le conseguenze possibili delle misure di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici sui diritti umani e dei popoli indigeni, ed allo stesso tempo svolge una disamina accurata degli impatti sui diritti di nuova generazione.

Tra questi vanno ricordati gli impatti dei mutamenti climatici sul diritto all’autodeterminazione. Di conseguenza si esortano gli Stati a tener fede all’obbligo di intraprendere qualsiasi tipo di iniziativa a titolo individuale, o collettivamente, per affrontare e prevenire tale minaccia, ed “evitare quegli effetti dei cambiamenti climatici che possono minacciare l’identità sociale e culturale dei popoli indigeni”.

Oltre ad elencare gli effetti dei mutamenti climatici sui popoli indigeni, il rapporto richiama l’attenzione sull’urgenza di assicurare ai popoli indigeni uno spazio adeguato per poter rappresentare le proprie preoccupazioni e richieste nell’ambito dei negoziati sul clima, ed a livello nazionale, riconoscendo allo stesso tempo l’importanza delle loro conoscenze tradizionali.

Come accennato in precedenza, il rapporto si sofferma anche sulle possibili implicazioni sui diritti umani derivanti dalle misure di risposta ai cambiamenti climatici, tra queste i “biofuel” e le politiche REDD.

Per quanto concerne i “biofuel”, viene sottolineato come “accanto all'impatto degli stessi sul diritto al cibo. Sono state espresse forti preoccupazioni dovute al fatto che l'aumento della domanda di biofuel potrebbe pregiudicare i diritti dei popoli indigeni alle loro terre e culture tradizionali”. Sulle politiche REDD, il rapporto riconosce i rischi derivanti da possibili espropriazioni di terre indigene, e dal reinsediamento delle comunità che le abitano e riprende le raccomandazioni del Forum Permanente delle Nazioni Unite secondo le quali qualsiasi nuova proposta di REDD dovrà “affrontare la necessità di riforme politiche nazionali e globali, … rispettando i diritti alla terra ed alle risorse , all'autodeterminazione ed al consenso libero, previo ed informato dei popoli indigeni coinvolte. “


LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI

Assieme ad altri strumenti e convenzioni sui diritti umani e l'ambiente, quali la Convenzione sulla Biodiversità, la Carta ONU sui diritti economici e sociali, o la Convenzione OIL 169 sui popoli indigeni e tribali, la Dichiarazione Universale (UNDRIP) rappresenta il pilastro principale intorno al quale ruotano le proposte e le rivendicazioni delle organizzazioni e reti di popoli indigeni di tutto il mondo. Ciò vale sia nell'ambito dei negoziati internazionali sul clima che in altre sedi quali la Banca mondiale che attraverso suoi programmi dedicati, svolge un ruolo cruciale nel settore delle riduzioni di emissioni da deforestazione (REDD) attraverso il Forest Carbon Partnership Facilty (FCPF) ed il Forest Investment Program (FIP). Anche le Nazioni Unite hanno sviluppato un loro programma REDD, l'UN-REDD , cogestito da UNDP, FAO ed UNEP ed hanno adottato linee guida per la partecipazione dei popoli indigeni che recepisce in gran parte il dettato dell'UNDRIP, ed il diritto al consenso libero, previo ed informato.

Molti articoli infatti della Dichiarazione sono rilevanti per cio’ che riguarda I cambiamenti climatici ed i loro effetti sui diritti dei popoli indigeni. Tra questi il gia’ citato diritto all'autodeterminazione (art. 3) il diritto alla vita, all'integrità fisica e mentale ed alla sicurezza della persona (art. 7), il diritto a non essere soggetti ad assimilazione forzata o alla distruzione della propria cultura (art. 8), il diritto a non essere reinsediati con la forza dalle proprie terre (art. 10), il diritto al consenso previo informato (Free Prior Informed Consent) (art. 19), il diritto alle terre ancestrali ed alle loro risorse (art. 26), il diritto alla conservazione e tutela dell'ambiente e delle capacità produttive delle terre, territori e risorse (art. 29); il diritto a gestire, controllare, proteggere e sviluppare il patrimonio culturale, la conoscenza tradizionale e le espressioni culturali incluse le risorse genetiche, le sementi e le medicine (art. 31); il diritto a determinare e sviluppare le proprie priorità di sviluppo incluso il diritto al consenso libero, previo ed informato (art. 32)

Benché la stragrande maggioranza (144) degli stati membri dell'Assemblea Generale votarono a favore della UNDRIP nella riunione del 13 settembre 2007, il Comitato ONU sulla Discriminazione Razziale (CERD) chiarì che anche per quegli stati (Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Australia) che votarono contro la dichiarazione, “questa dovrebbe essere utilizzata come criterio guida per interpretare gi obblighi degli stati membri relativi alla tutela dei diritti dei popolii indigeni secondo quanto previsto dalla Convenzione ONU per la discriminazione delle discriminazioni razziali” . Nella prima metà del 2009 l'Australia, che insieme a Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda non ha votato la risoluzione ed ha fatto blocco ad ogni possibilità di considerarla rilevante nella definizione delle politiche climatiche globali, ha annunciato la decisione di adottare la Convenzione. Stessa intenzione avrebbe anche la Nuova Zelanda, mentre si moltiplicano le voci di un'eventuale simile decisione da parte del Presidente degli Stati Uniti,Barack Obama.

Anche il Forum Permanente dei Popoli Indigeni delle Nazioni Unite (UNPFII) ha fatto dell'UNDRIP la base delle sue proposte e rivendicazioni riguardo i cambiamenti cilmatici, Nella sua riunione nel 2008 il tema dei cambiamenti climatici venne messo in agenda dell' UNPFII al fine di fornire ai propri membri la possibilità di illustrare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle proprie comunità. Al termine di quella riunione l'UNPFII adottò una serie di raccomandazioni tra cui quella rivolta al Segretariato dell'UNFCCC di creare un meccanismo atto a permettere la partecipazione dei popoliindigeni nei negoziati ufficiali. In seguito, le reti indigeni organizzarono una serie di conferenze regionali sul tema dei diritti dei popoli indigeni ed i cambiamenti climatici, che sio svolsero a cavallo tra il 2008 ed il 2009 e culminarono nella Conferenza internazionale dei popoli indigeni di Anchorage, Alaska (marzo 2009) . La Conferenza di Anchorage approvò una dichiarazione nella quale i popoli indigeni articolano una loro piattaforma politica comune sulla base delle loro esperienze di resistenza, pratiche, e diritti riconosciuti nell'UNDRIP.

La dichiarazione esorta, tra l'altro, i governi membri della Convenzione ONU sui Mutamenti Climatici a diminuire la dipendenza dai combustibili fossili, sostenendo una transizione verso economie fondate sulle energie rinnovabili, e assicurando la sicurezza e la sovranità energetica dei popoli indigeni riconoscendo il debito ecologico e storico dei paesi industrializzati. Accanto ai diritti fondamentali inscritti nelle dichiarazioni ONU e nelle convenzioni internazionali rilevanti, andrà poi assicurato il diritto a partecipare attivamente alla formulazione di politiche globali sul cambio climatico. Tra le proposte quella di istituire un meccanismo istituzionale di partecipazione dei popoli indigeni presso il segretariato della Convenzione Quadro, nei consigli direttivi dei meccanismi di finanziamento delle azioni intraprese sul cambio climatico. Le iniziative REDD dovranno inoltre, come condizione preliminare, assicurare il riconoscimento e l'attuazione dei diritti umani dei popoli indigeni incluso il diritto ala terra, ed ai benefici multipli delle foreste per il clima e gli ecosistemi , mentre gli stati dovranno abbandonare le false soluzioni ai cambiamenti climatici, quali il mercato di carbonio, le piantagioni di biofuel, energia nucleare, grandi dighe.

Da Anchorage i popoli indigeni hanno lanciato un messaggio a tutta la comunità internazionale, volto a riaffermare il loro ruolo storico di guardiani della “Pachamama”, della madre Terra, minacciata da un modello di sviluppo che sta creando le premesse per nuove violazioni dei loro diritti umani e di quelli dell'umanità intera. In tal senso, riaffermare i diritti dei popoli indigeni nelle politiche energetiche e sui cambiamenti climatici , riconoscendo il ruolo fondamentale da essi svolto attraverso le conoscenze tradizionali nella protezione delle foreste e della biodiversità, rappresenta un passo necessario ed ineludibile per costruire un nuovo paradigma economico ed ecologico rispettoso del clima e dei diritti della natura e dei viventi.


(*) responsabile su clima, foreste e popoli indigeni per il Forest Peoples' Programme, organizzazione per I diritti dei popoli indigeni basata in Inghilterra - www.forestpeoples.org

2 commenti:

socialista eretico ha detto...

ciao.

sono il "filomeno" che ha lasciato un commento sul sito di Sinistra-e-Libertò al tuo scritto.

ho letto questo tuo articolo e ti dico cosa ne penso:

Nonostante la simpatia per i popoli che conducono vita ancestrale e l'influenza politica degli zapatisti non so molto della loro situazione e quel che conosco proviene principalmente dagli scritti di Gennaro Carotenuto (www.gennarocarotenuto.it) quindi con impianto anti-imperialista / chavista (io non sono chavista però) .

da quel che si vede dalla mia posizione molto lontana da quelle regioni, penso sia un buon metodo quello di dare la proprietà diretta delle terre alle comunità indios.
Trovo non verosimile che il mondo possa cambiare per sostenere i modelli ancestrali, abbastanza ingenuo pensare che un mondo che taglia gli aiuti per le madri/bimbi si accolli l'onere di sostenere le spese.
Assurdo mettere i popoli anticestrali contro il sottoproletariato che dello sfruttamento delle risorse naturali vive.

il problema energetico credo che vada risolto utilizzando in minima parte il biofuel per i motivi citati da te(la terra sottratta alla foresta ed alle coltivazioni agricole) ed anche in tal caso si debba privilegiare la produzione interna e la proprietà statale.

meglio sarebbe sostenere le auto/bus elettrici , quantomeno nel pubblico. Ed aumentare i finanziamenti sperando in qualche innovazione tecnologica che renda competitivi i motori elettrici (e soprattutto la conservazione dell'energia elettrica).

i mutamenti climatici sono un dicorso per pochi appassionati.

al di là del "non ci sono mezze stagioni" non è problema sentito in Italia.

come invece potrebbe essere la penuria di acqua causa infiltrazione mafiose e perdite di acquedotti.

credo che concentrarsi innanzitutto sull' Italia sia necessario.

socialista eretico ha detto...

permettimi un paio di suggerimenti per aumentare la visibilità del tuo blog:

1) esistono degli aggregatori dove segnalare i propri scritti. ne cito due :

a) http://oknotizie.virgilio.it
un aggregatore molto visitato da cui si possono ricevere decine o centinaia di visite al giorno


b) http://www.kilombo.org/
un aggregatore indipendente della Sinistra (diciamo dal PD arrivando ai comunisti passando per SeL)




2) ti consiglio anche di fare un doppio del tuo blog (pubblichi qui e fai il copia-incolla lì) sulla piattaforma messa a disposizione dai Radicali:

http://www.fainotizia.it/

ciao
filomeno

(fidati, sono anni che bazzico in rete e gestisco il sito/blog dell' ANPI salernitano)